Fabio Selvafiorita è un personaggio vulcanico. Qualche tempo fa ci ha mandato la sua tesi di laurea, dal titolo: Genesi della forma nella composizione musicale assistita dal computer: modelli teorici e prospettive poietiche nell’ambiente di programmazione OpenMusic, un notevole lavoro di 700 pagine svolto presso il corso di laurea in Disciplina delle Arti, della Musica e dello Spettacolo della Facoltà  di Lettere e Filosofia dell’Università  di Bologna.
A questo punto la decisione è stata molto ovvia: intervistare Fabio con l’obiettivo di comprendere meglio il mondo della composizione musicale in ambito informatico e, in particolare, scoprire le potenzialità  di un software come OpenMusic.
Fabio, puoi descriverci brevemente cosa ti ha spinto a studiare un software come OpenMusic? Quali sono le caratteristiche che ti hanno interessato maggiormente?
Mi sono avvicinato a questo ambiente di programmazione per la composizione nel momento in cui sentii che il mio percorso di studi in informatica musicale si stava fossilizzando un pò troppo sulle fascinose risorse rivolte al processing e alla sintesi sonora. Lo sentivo come un mio limite, poichè assimilate alcune problematiche elettroacustiche e di computer music, mi pesava la mancanza di un trait d’union forte con la scrittura, con la musica sul pentagramma. In questo senso ho trovato, prima in Patchwork, poi OpenMusic la piattaforma software ideale.
Molte le caratteristiche interessanti, che coinvolgono anche aspetti differenti e non solo musicali. Epistemologicamente, questo luogo virtuale si configura come l’ambiente software più adatto per un compositore, musicologo o ricercatore dove (o a partire dal quale) poter valutare i risultati di uno studio comparato tra metodo della scienza normale e necessità  umanistiche. Esteticamente significa la possibilità  di valutare quando e in che modo, in questo caso nel mio artigianato compositivo, la disciplina o il rigore formale, cede il passo o all’intuizione creativa e viceversa. Venendo agli aspetti propriamente musicali ho trovato molto utile studiare alcune delle librerie già  integrate e scritte da altri compositori e ricercatori per OM; utilissima se non essenziale la possibilità  di definire delle regole attraverso cui il compositore può veder realizzato il proprio gioco (attraverso quindi la formalizzazione delle proprie strategie), non solo risparmiando tempo, ma soprattutto avendo quasi immediatamente una risposta aurale (via midi) in modo da valutare la necessità  di quanto richiesto.
Un consiglio per chi vuole iniziare a lavorare con Open Music: quali sono le conoscenze e/o le skill richieste? Quale è la curva di apprendimento del software?
Per quello che riguarda la parte informatica devo dire che l’approccio non è molto differente da quello di ambienti di programmazione orientati agli oggetti più diffusi, come MAX/MSP e Csound. La cosa più difficile, che secondo me accomuna tutti questi software aperti, è tradurre un concetto, una intuizione musicale nella sintassi della programmazione, nel caso di OM, funzionale. Per il musicista compositore non è intuitivo il paradigma del visual programming. Quindi è necessario cominciare, anche didatticamente, da qui. Così è necessario lo studio della sintassi Lisp-Common Lisp, soprattutto se si vogliono implementare delle librerie o progettare degli oggetti. Ma per sfruttare al meglio le potenzialità  di OM e contrariamente ai software tipo MSP o Csound e a tutti quelli processing oriented è necessaria una buona base teorica della musica e un poco dimestichezza con le tecniche di scrittura del novecento, in particolare direi quelle post-seriali. OM non è semplicissimo per cui il consiglio che posso dare è quello di frequentare un corso, argomento su cui non sono molto aggiornato. A parte quelli IRCAM, sapevo di ottimi corsi all’IRMus di Milano presso l’Accademia Internazionale della Musica, tenuti da Jacopo Baboni Schilingi, ma è necessario informarsi, magari telefonando. So che in alcuni conservatori come a Milano e Bologna è insegnato.
Altrimenti, DIY, e in questo caso posso consigliare lo studio del tutorial così come appare in Open Music Tutorial di Karim Haddad e magari può risultare utile l’utilizzo della mia dissertazione la cui seconda parte è in sostanza la traduzione del tutorial di cui sopra, con opportune integrazioni per una maggiore chiarezza espositiva. Inoltre consiglio la stampa e lo studio della documentazione di tutte librerie, quando disponibili, e l’acquisto dei due volumi The OM Composer’s Book 1 e 2 acquistabili da Ircam.
Puoi descrivere alcune delle opere che hai realizzato tramite Open Music?
In una ipotetica tassonomia degli strumenti per l’informatica musicale OpenMusic è classificato come software per la scrittura musicale assistita dal computer. Utilizzo quindi OpenMusic quando si rende necessaria la cosiddetta assistenza informatica. Di solito poi lo utilizzo per aiutarmi a definire solo alcune sezioni dei brani che scrivo. A volte per definire una sequenza di durate o percorsi di metriche, a volte per ottenere campi armonici particolari, a volte per implementare delle regole generiche per la condotta delle voci e così via. Tendo quindi a lavorare con un parametro alla volta. Una stessa applicazione creata in OpenMusic, data la sua generalità  e se pertinente al contesto in cui deve svolgere la sua funzione, può essere utilizzata in differenti sezioni di diversi brani. Mi piace poi reinterpretare, simulandole, alcune tecniche compositive tradizionali, in modo da verificare in che modo lo strumento informatico contribuisce alla definizione dei limiti, percepibili e astratti, nei processi di sviluppo e di trasformazione di un materiale. Ho scritto ad esempio una sezione di un movimento per un trio d’archi cercando di simulare alcune tecniche isoritmiche, in modo da strutturare talee e colores, durate e altezze, in modo del tutto particolare. In altri brani ho attinto in differenti modi da un database di campi armonici che vado aggiornando giorno dopo giorno. Ma tutto questo è solo artigianato, non descrive il risultato di un mio lavoro. Per modellare il sound artisticamente è necessario minare criticamente anche le fondamenta del design. Dico questo perchè anche quando nasce l’esigenza di utilizzare uno strumento come OpenMusic lo faccio sempre con la necessità  di una irrazionalità  pratica, che è oltre la stessa contraddizione logica, ma che contribuisce in modo fondamentale alla forma-azione di quel particolare brano. Per questo prima ti dicevo che mi interessa indagare il continuum tra intuizione creativa ed elaborazione formale. Non nel senso ampiamente storicizzato di gioco tra caso e volontà  . Ciò che mi interessa è soprattutto valutare le conseguenze di auspicabili crisi interne a questa dialettica a piu dimensioni tra appunto scritto, modello informatico, strumento musicale, elaborazione formale, drammaturgia e funzione musicale. L’opera per me è sempre il risultato di un incidente in-formato da nuove tensioni potenziali e derive della ragione, come l’akrasia e del senso che a questa danno alcuni filosofi ed epistemologi come Donald Davidson. In tutto questo OpenMusic, ha un ruolo importante solo perchè pertinente ad un particolare modello della razionalità  , consolidato e condiviso e che bene si inserisce in quanto evoluzione, nella tradizione, di una tecnica della scrittura. Citando Francis Bacon, quando parla a proposito delle responsabilità  del gesto che accompagna il lancio di colore sulla tela e della sua osservazione, posso dire che uso OpenMusic per tendere delle trappole alla ragione, al materiale, per poi osservare come la preda migliore possa rimanere intrappolata in luoghi che non avevo ancora valutato o mai intuito…cerco continuamente di essere sorpreso da questo.
Quali sono i progetti a cui stai lavorando ora?
Ho appena finito di scrivere un ciclo di lavori per strumenti solisti che condividono tutti il medesimo materiale musicale di partenza, un multiplo, è stata un po una sfida per me, e da poco ho iniziato un lavoro particolare, ampio e articolato, come dotato di una propria drammaturgia, una serie di brani per chitarra classica nei quali utilizzo tipi di scrittura con cui non mi ero mai confrontato prima. Confido sempre in una deriva. Attività  compositiva a parte tengo molto ad un paio di progetti che sto portando avanti; il primo WINTERREISE con gli amici Lorenc Xhuvani e Sergio Armaroli, dove, con un piccolo ensemble, vogliamo documentare un percorso di sperimentazione e di ricerca cercando di coinvolgere anche altre esperienze artistiche e mediali e non necessariamente con finalità  artistiche ma anche critiche o documentarie. Ci teniamo quindi ad alimentare un dialogo che crediamo urgente e necessario tra ricerca e sperimentazione (spesso confusi, in realtà  quasi sempre indifferenti l’un l’altro) in un ambito che non catalogherei esclusivamente di interesse musicale, ma estetico tout court. Mi riservo poi momenti di relax, di puro chill out postcyber con il progetto CRASH, in collaborazione con amici di vecchia data, dove filtriamo diverse influenze musicali condivise a partire da esperienze ormai ventennali di frequentazione con generi che ci piace anche ascoltare, dall’hip hop al metal, dai drones, all’ambient, alle elettroniche varie…
Quali sono a tuo parere i personaggi più determinanti nel mondo del suono? Ieri, oggi, domani?
Non saprei come rispondere a questa domanda; credo sia una storia molto complessa, ancora tutta da scrivere e da intepretare.
Ne approfitto invece per aggiungere una cosa per chiunque sia interessato ad avvicinarsi al mondo della composizione assistita e non può o non vuole comprarsi OpenMusic. C’è oggi un’alternativa a questo programma, molto interessante e promettente, che è free e si chiama PWGL, gira sia su Windows che su Mac Intel e che introduce, oltre alla rappresentazione simbolica della musica, la possibilità  di elaborazione e sintesi sonora a la MAX/MSP e di una libreria per la formattazione della notazione musicale (tipo Finale ma meno user friendly). Un grande passo comunque verso un ambiente integrato per la composizione e le nuove modalità  di scrittura musicale.
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mi piacerebbe chiedere a Fabio Selvafiorita dell’akrasia e dei rapporti con Davidson…tutto ciò potrebbe sfiorare alcuni dei miei argomenti di tesi (che però nulla hanno a che vedere con la musica…)
Grazie Giampaolo anche per questa intervista. C’è sempre da imparare…porca miseria!
Luigi, ho appena avvertito Fabio che quindi dovrebbe farsi vedere a breve da queste parti e darti maggiori news su Davidson
bell’intervista ..tanto di cappello a selvafiorita
Adoro Fabio. Se solo mettesse in pratica (ossia facesse dei dischi) più spesso quanto sa, sarebbe conosciuto ovunque.
Chapeau anche da parte mia.
grazie a tutti…
grazie a soundesign.info per l’ospitalità Â
x Luigi…introdurre l’akrasia in questo discorso sulla composizione musicale riguarda per me soprattutto la necessità  di interrogare ulteriori modelli della razionalità  , che come ben saprai è un concetto intimamente legato a ciò che della razionalità  conosciamo in un determinato momento storico, grazie ai paradigmi scientifici, compreso quello algoritmico appunto che in questo contesto è quello che si lega alla composizione musicale…discorso lungo e affascinante che non sono mai riuscito ad approfondire piu di tanto…così Donald Davidson, ma anche John Searle ad esempio…tutti modi differenti tra loro di interrogare la razionalità  anche attraverso l’akrasia…non so se ti sono stato utile…fammi sapere
ciao a tutti
f
Veramente molto interessante ….
700 pagine ? aspiterina 🙂
grazie per le precisazioni. Del tuo lavoro di ricerca apprezzo molto il carattere “speculativo”, la riflessione che segue e precede il “fare”. Nell’ambito delle tecnologie applicate alla musica c’è un enorme bisogno di precisare gli orizzonti di pensiero in cui ci si sta muovendo, anche se poi, l’unico discriminante rimane sempre il dato sensoriale, ciò che (nel caso della musica) si ascolta.
Confido anch’io in una deriva (il termine è molto importante, c’è chi lo applica all’evoluzione, vedi “deriva naturale) purchè “funzioni” e apra sensi e prospettive…o altre derive….
…giuste considerazioni Luigi…una precisazione…la “speculazione”, cui fai riferimento, riguarda la necessità  di un rapporto equilibrato con la tecnica…giustissima quindi la tua considerazione sul dato sensoriale…triste per me sarebbe quella speculazione, quella teoria, che diventasse oggi dogma per la prassi…la musica si priverebbe di quel potenziale di seduzione indispensabile…sto leggendo ora Della seduzione di Baudrillard…”nella seduzione non v’è nessun soggetto padrone di una strategia, e quando la strategia si dispiega nella piena coscienza dei suoi mezzi, è ancora sottomessa a una regola del gioco che la supera”….
ciao da tuo cugino una bella intervista sei sempre fuori beato te…..ciao e salutami gli zii ciao
[…] l’intervista più letta: Fabio Selvafiorita; […]
sto studiando open music e volevo chiedere se esiste il manuale e i tutorials scritti in italiano…
grazie per l’interesse.
cesare59@libero.it