Il mensile Blow Up rappresenta oramai da anni uno dei punti di riferimento per tutti coloro che si interessano in Italia di rock e altre contaminazioni (per citare il payoff stesso della rivista). Non nascondo la mia dedizione quasi assoluta al lavoro di Stefano Isidoro Bianchi e compagni, tant’è che nella mia libreria ho in bella mostra tutti i numeri della rivista, partendo ovviamente da quando era la fanzine più cult del paese. Ma andiamo al sodo: cosa c’èntra il rock, seppur contaminato, con il caro (vecchio?) sound design, di cui tanto si chiacchera su queste pagine? Facciamo un’analisi di quello che sta succedendo sulle pagine della rivista negli ultimi mesi.
Lo spazio delle recensioni si amplia con una nuova categoria di genere musicale, chiamata Altri suoni, che svela un interesse verso artisti del calibro di Anthony Pateras, U.S.O. project, Fennesz, Elio Martusciello, e così via; il nuovo sito web pubblica vecchi articoli dedicati ai grandi maestri della musica contemporanea (date un’occhiata a questa bella monografia di John Cage scritta da Peter Sarram); le rubriche gestite da Leandro Pisano e Valerio Mattioli guadagnano un peso editoriale sempre maggiore. In poche parole: Blow Up meets sounDesign (o sounDesign meets Blow Up, per chi lo preferisce).
Questa connection sonora diventa più che evidente con una lieta sorpresa presente nel numero di febbraio: Il suono in una stanza, ovvero l’intervista di Valerio Mattioli ad Alvin Lucier.
Nelle quattro pagine dedicate al compositore e sperimentatore americano vengono presentati i momenti principali di una carriera artistica formidabile, dalla scoperta della musica contemporanea durante un viaggio a Roma, all’esperienza con l’ensemble Sonic Arts Union e la Lovely Music, alle inevitabili motivazioni che hanno portato alla realizzazione di opere come Music for solo performer e Music on a long thin wire. Uno spaccato fondamentale della Storia del Suono e della Musica Sperimentale. Una lettura veramente consigliata.
L’intervista su Blow Up non fà altro che evidenziare la grande influenza che questo quasi ottantenne ha ancora oggi. Un’opera su tutte: il suo capolavoro I am sitting in a room rappresenta attualmente una fonte di ispirazione non solo per i musicisti, ma anche per i videomaker e in genere per tutti gli artisti mutimediali più sperimentali.
Un primo esempio è il bell’esperimento di riproduzione del brano in versione italiana ad opera di Francesco Michi.
Due interessanti lavori che utilizzano la tecnica di Lucier in ambito video, realizzati rispettivamente da Evan Lockart Borman e Chris Lynn.
I Am Sitting In A Room-Full Version from Evan Lockhart Borman on Vimeo.
Fino ad arrivare a un originale esperimento della fotografa Jo-cliche, che ha catturato le pagine di un libro create fotocopiando ripetutamente (100 volte) una fotografia (pensate un pò…) di Robert Moog. In pratica una versione cartacea della memorabile intuizione del caro Lucier…
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